
Settembre.
La porta di ingresso per la stagione autunnale, il primo accartocciarsi delle foglie ingiallite sotto ai nostri piedi, il sole più clemente e il rumore dei nostri polpastrelli sull’edizione “cicciosa” del nostro giornale di moda preferito.
O almeno lo era.
Le edizioni del nono mese dell’anno sono solitamente all’ingrasso.
Infatti, una delle prime domande che il giornalismo della moda dedica alle diverse testate editoriali è proprio questa: “quanto peserà quest’anno il numero di settembre?”.
Sì perché se esiste un capodanno morale per il fashion system, quello, amiche mie, non è certamente il primo giorno dell’anno.
Settembre è il mese delle anticipazioni sui segreti e le tendenze che quei pusher di stilisti distillano, irrorando le testate più autorevoli e rendendo la scoperta di come ci vestiremo nei successivi mesi la nostra droga preferita.
E tutto questo un tempo accadeva tra le pagine profumate di carta appena stampata.
Adesso?
Adesso… “qualcosa è cambiato”(cit).
Solo 10 anni fa, nel 2009, uscì, a distanza di due anni dalle riprese, “The September Issue”.
Un documentario che raccontava i nove mesi di gestazione del numero di settembre di Vogue, attraverso i filmati che ritraevano una delle più grandi regnanti della moda durante il suo lavoro di ogni giorno: Anna Wintour.
Fu lei stessa ad affermare con spavalda sicurezza che “se la moda è una religione, Vogue è la sua bibbia”.
In effetti, le 840 pagine di tendenza lo dimostrarono appieno.
Battute una ad una grazie a un lavoro estenuante sotto la direzione totalitaria di colei che ispirò le vicende del mitico “Il diavolo veste Prada”, 12 anni fa quelle pagine riuscirono a creare un giro di affari di oltre 300 miliardi di dollari.

Quest’anno purtroppo, per chi come me è una nostalgica del genere, i numeri non saranno gli stessi.
Almeno nella nostra adorata penisola della moda.
Il numero di settembre di Vogue Italia è costruito su una narrazione visiva di 430 pagine di immagini, testi, anticipazioni, novità di tendenza.
Vanta però due copertine straordinarie che lo rendono già un oggetto da collezione, in quanto impreziosito dai racconti originali di Michael Cunningham.
Non solo.
In questo numero, Emanuele Farneti intraprende una singolar tenzone con l’abitudine sempre più accentuata di seppellire le parole del nostro vocabolario in un cimitero di fretta, superficialità, interesse personale, imprecisione.
Lo cito testualmente:
“Le parole contano. Hanno sempre contato, ma contano più che mai in un momento storico in cui, da una parte, il nostro vocabolario si restringe in maniera allarmante, e dall’altra esse sono sempre più spesso prese in ostaggio, svuotate di significato, usate come armi, piegate a interessi di corto raggio, piccoli e meschini.”
Inoltre, nello stesso editoriale, si trovano gli inediti di due premi Nobel come Al Gore e Nadia Murad.
Un piccolo capolavoro di tutela e riscatto a beneficio della tradizione, sempre più sbiadita, di leggere con intenzione e piacere ciò che viene creato misurando fatica ed ardore.
Ma basterà questo a tenerci stretta l’abitudine di sederci su un divano comodo, la domenica mattina, per divorare tutte quelle pagine profumate di nuovo, sorseggiando un caffè lungo dalla nostra tazza preferita?
Solo lo scorso anno il New York Post ha tracciato i contorni di una preoccupante fase d’agonia della carta stampata, per via della mancanza di fondi.
Ad avvalorare la questione, un’analisi sul numero piuttosto sensibile di chiusure che riguardava diverse testate affiliate alla stessa Vogue.
Un dissanguamento senza precedenti, che ha toccato in modo sensibile il posto di lavoro e le certezze di tanti professionisti della moda stampata.
In materia di “prime volte” si narra che a coloro i quali avessero scelto di uscire dall’azienda in modo volontario sarebbe spettato un incentivo di 40 mensilità pagate: si tratta del più grande incentivo della storia.
Se la classe non è acqua…
Purtroppo però, temo che le abitudini di consumo abbiano intaccato pesantemente anche il numero più atteso dell’anno.
Vero è che, ancora oggi, la moda è quel mondo in cui pesare “il giusto” rende decisamente l’outfit più elegante… a meno che tu non sia il numero di settembre di Vogue!