
Meno di 10 anni.
Quanti sono nel mondo moda? Pochi? Tanti?
Possono essere come una manciata scarna di tempo che vola in un attimo, oppure possono pesare come macigni quando le cose sono in salita.
In questo caso, parlando di Virgil Abloh, 10 anni sono stati un soffio.
Un soffio che si è tramutato in vento e poi tempesta: la tempesta che la sua creatività in soli 10 anni è riuscita a causare nel mondo fashion, cambiandolo per sempre.
Nel 2012 il suo marchio non esiste.
Nel 2013 c’è e si chiama Off-White.
Nel 2019 quel marchio si posiziona come il più desiderato al mondo.
Già così saremmo davanti ad una scalata rapidissima e fenomenale, ma c’è molto di più.
C’è di più perché, durante la sua troppo breve vita, non si è limitato al mondo moda: Abloh ha messo in comunicazione territori apparentemente lontani, ha giocato con i supporti e gli strumenti creativi, ha reso possibili collaborazioni che nessuno nel mondo fashion si sarebbe mai sognato prima.
Con la notizia della morte di Virgil Abloh a seguito di una forma molto aggressiva di cancro che aveva scelto di combattere privatamente da un paio d’anno, ci cade addosso come un pesantissimo masso la consapevolezza improvvisa che niente sarà più come prima, perché in effetti lui aveva cambiato tutto.
In un istante, viene a mancare una figura centrale nel fashion system, lasciandoci attoniti e privi della possibilità di scoprire cosa avrebbe avuto ancora in serbo per noi.
Forse questa notizia fa così male perché è come l’interruzione brusca di una favola.
In effetti, la sua carriera ne assume quasi i contorni.
D’altra parte le favole servono a farci sognare, e cosa può far sognare le nuove generazioni se non l’idea che un ingegnere di colore senza nozioni di moda possa diventare il creative director di una delle maison più importanti del mondo? E invece succede: sogno e realtà si sono incontrati.
Alla base di tutto il tempismo, o, forse, una coincidenza. Oppure no?
Una frase che Abloh usava spesso ripetere riguardava proprio le coincidenze e recitava più o meno così:
“Le coincidenze sono fatte di energie che si incontrano e si muovono verso lo stesso obiettivo.“
Ciò che possiamo dire allora è che la sua energia ha trovato in quella di Kanye West il contrappunto perfetto per far scattare una molla, quella da cui poi ha preso il via la sfavillante carriera di entrambi.
Le due energie si incontrano durante l’esperienza universitaria di Abloh come allievo della facoltà di ingegneria civile. I due diventano amici, poi partner professionali ed è evidente che le loro vite, in quel periodo, sembrano l’una lo specchio dell’altra.

Quando, nel 2009, Abloh e Kanye West effettuano uno stage a Roma presso Fendi (all’epoca diretta da Karl Lagerfeld), entrambi stanno vivendo un periodo particolare e di transizione: il rapper si era appena visto saltare all’ultimo un tour con Lady Gaga e aveva voglia di staccare con un’esperienza all’estero, mentre Virgil Abloh, impegnato nella musica come direttore artistico dell’album dell’amico e collega, camminava già da un po’ sul confine tra fashion e musica.
A completare il quadro, la fase di transizione anche della stessa maison Fendi, che (nonostante fosse ai tempi diretta da un’icona come Lagerfeld) si trovava in quel periodo in cerca di un nuovo slancio creativo per competere con il mercato sempre più frenetico.
Abloh non sapeva che quel tirocinio avrebbe cambiato per sempre la sua vita, facendo luce tra tutte le sfaccettature della sua creatività e spianandogli la strada vero l’élite della moda mondiale.
Nel 2013 fonda il proprio marchio Off-White, 5 anni dopo il suo successo è consacrato dalla nomina a direttore artistico del comparto uomo di Louis Vuitton e, nello stesso anno, entra a pieno titolo nella lista dei 100 uomini più influenti del pianeta.
Kanye West è stato il primo ad essere illuminato dal suo talento e dal suo carisma, ma non è stato certo l’ultimo.
Il ricordo del designer vivrà infatti sopratutto in quella fetta di pubblico che da subito lo ha amato ed eretto a simbolo: i giovanissimi della Gen Z.
Loro, i nuovi pionieri delle tematiche più calde e difficili, dalla sostenibilità all’etica professionale, cercavano nella figura del designer molto di più che la mera abilità di creare capi di tendenza. Cercavano qualcuno che cambiasse le cose, che simboleggiasse l’alba di una nuova era per il mondo fashion, qualcuno che rompesse schemi, mescolasse le carte e fosse capace di far sognare qualcosa di diverso e migliore.
E Virgil Abloh questo obiettivo lo ha raggiunto.
Per la Gen Z, Abloh è stato un punto di riferimento. Ha giocato con la loro curiosità, portando lo streetwear a un livello superiore mai raggiunto prima e dando vita a un vero e proprio culto nella community di appassionati di streetwear in Italia: le sneakers e le felpe della capsule Nike x Off-White schizzano in cima a tutte le wish-list, mentre su internet si moltiplicano i post di vendita sugli item delle numerosissime collaborazioni del designer.
Grazie a lui, i media e il resell (ovvero i consumatori e i fan) sono diventati parte attiva del processo artistico, aggiungendo (e spesso di fatto creando) valore al singolo prodotto. Usando le sue stesse parole:
“I’m trying to record our “now”. Make a contemporary recording of what is happening
in the outside world.”

D’altra parte, la sua cross-settorialità e il suo desiderio di lasciare il suo segno ovunque, sono valsi ad Abloh il titolo di “Karl Lagerfeld dei Millenials”. A prima vista i due designer non potrebbero sembrare più diversi: Abloh un americano di colore, cresciuto nei sobborghi fuori Chicago con la passione per lo skateboard, mentre Lagerfeld un bianco tedesco, cresciuto in un ambiente elitario e di grande cultura, che iniziò la sua carriera a Parigi nelle maison di moda più storiche.
Eppure le somiglianze ci sono e lasceranno il segno in un mondo moda che ora dovrà proseguire senza di loro. Entrambi lavoratori instancabili, soliti fare incursioni nella fotografia e nell’editoria, insofferenti verso le pretese convenzionali della moda, ironici e capaci di creare attorno a loro una community che li idolatra attraverso un culto della personalità.
Ma, tornando strettamente a Virgil, se i giovani Gen Z lo hanno visto come qualcosa in più di un designer, significa che c’è qualcosa di più sotto le collezioni da sold-out immediato.
Ciò che colpiva di lui è infatti la sua gestione politica del potere; Abloh era perfettamente conscio del fatto che l’aspetto manageriale del suo lavoro fosse direttamente proporzionale al proprio impatto reale sul mondo. Non si è pianto addosso quanto ha perso il suo primo brand Pyrex, ma anzi ha innovato i suoi prodotti non legandosi eccessivamente ai progetti. A lui si deve un rinnovamento del concetto della parola “creativo”, che sottolinea come nella cultura post-capitalista del mondo occidentale il creativo non possa prescindere dall’elemento politico, dal calarsi in prima persona nel mercato e cercare di piegarne le leggi per tramutare anch’esse in “gesto artistico”.
Adesso a ricordarlo c’è una grande statua che lo ritrae con lo sguardo rivolto verso l’alto, mentre una coreografia di droni disegna in aria aeroplanini di carta e un gigantesco pallone aerostatico rosso fuoco con il Monogram Vuitton domina il cielo.
È la sfilata a lui dedicata intitolata “Virgil was here”, andata in scena ieri a Miami e seguita in streaming su Instagram e Youtube da 17mila persone. Durante il fashion show (previsto prima della morte dello stilista come celebrazione dell’opening del primo monomarca maschile di Louis Vuitton negli Stati Uniti), vanno in scena un’ottantina di modelli di quella ultima collezione per la prossima estate a cui Abloh ha lavorato fino a pochi giorni prima della sua morte.
A osservare lo show allestito sull’acqua, nello scenario del Marine Stadium, sono 1800 ospiti uniti da una sensazione di sgomento: in prima fila c’è Kanye West, amico e collega di una vita, con la figlia North e la moglie Kim Kardashian, ma ci sono anche Rihanna e il compagno ASAP Rocky, Ricky Martin, Maluma, Pharrell Williams, Bella Hadid e Ivanka Trump, mentre in passerella amici di lunga data del designer come Kid Cudi, Offset e Quavo si trasformano in modelli per una notte.

La moglie è assente. Per lei la maison ha allestito un collegamento speciale da casa in modo da assistere e poter sentire l’affetto dei partecipanti.
A rompere il silenzio dello sconcerto, sotto la scritta illuminata “Virgil was here”, è solo Michael Burke (presidente e CEO di Louis Vuitton), che prende la parola prima dello show e con un filo di voce racconta del genio di Abloh, di come lo ha conosciuto, della strada fatta insieme e del dolore e dello sgomento che si prova di fronte a una morte così improvvisa.
Nel frattempo, dall’altra parte del mondo, a Parigi, un muro si riempie di dediche silenziose e colorate per il designer scomparso. È il muro fatto allestire davanti alla sede di Louis Vuitton, realizzato per chiunque volesse fare un piccolo omaggio scritto alla memoria dell’artista che in poco tempo ha stravolto il mondo moda.
Più che un artista, un sognatore che ha saputo far coincidere, nella sua vita, l’arte del sogno e la realtà.